Mario Gavazzi scioglie in un tracciato multicolore ogni soggetto rappresentato, per donare nuova vitalità alla iconografia: linee marcate serpeggiano, spicchi di immagine vanno a ricomporre in arabesco una composizione frammentata.
La sua pittura ariosa contiene una particolare energia luminosa che evidenzia l’intreccio di segni che segmentano lo spazio in sovrapposizione di colori che si slegano, si attorcigliano, in un gioco che è tessitura e scrittura dello spazio.
Ma le sue geometrie, che spesso si alternano a volumi più morbidi, quasi sempre appartenenti a figure muliebri, non sono affatto un brusco sigillo intelletualistico, una spezzatura, una barriera, esprimendo al contrario un bisogno d’armonia che risponde ad un criterio d’ordine.
(Stefano Barbieri)
Il tema è il mare e, al centro dell’iconografia, è la figura femminile. Il pittore costruisce un mondo, un’atmosfera, non aperta verso gli orizzonti marini, bensì chiusa, quasi intrappolata in una sorte di cattedrale gotica, dove gli sfondi sono simili a vetrate dai colori diversi. La donna ha una corporatura possente, di tipo vagamente picassiano, troneggiando distesa di spalle su tutto il primo piano. Qua da ex-livornese quale io sono, rivedo la scultura del volterrano Mino Trafeli “Il pescatore” sia per la tridimensionalità tutta scultorea, resa a forza di spicchi cromatici, dove il bianco mette in luce le rotondità, sia per lo sguardo della figura femminile perso nelle lontananze marine. Emergono visuali livornesi come la terrazza Mascagni sotto un influsso ventoso, o la baracchina di Ardenza rappresentata in maniera ben diversa da quella dipinta dalle pleiadi di post-post macchiaioli (come ebbi già a notare). Anche qua la donna, non più maestosa come le altre, ma una giovanetta senza volto che passa il tempo fra telefonino e una bibita, dondolando indolente la scarpa. Ecco in sintesi ciò che queste tele mi hanno trasmesso: l’atmosfera “indolente” della città labronica, quello scorrere lento del tempo fra una scogliera e l’altra, dove il mare e la donna si fondono, sono la stessa cosa. (E. Torelli Landini)
L’ARTE DI MARIO GAVAZZI
La pittura di Mario Gavazzi e’ una pittura piacevole, che cattura subito l’interesse di un osservatore, anche del meno “acculturato”, pittoricamente parlando. E’ una pittura ariosa, che fa della luce e delle prospettive le sue carte vincenti. E’ stato detto che le nervature scure che intersecano le sue opere possono ricordare i profili in piombo delle vetrate, ed in effetti e’ vero, perche’ la luce e il chiarore non sono mai assenti e “filtrano” dai soggetti presentati come attraverso un vetro. Stare a dissertare sui suoi due diversi aspetti, il figurativo o l’informale, sembra ormai fuori luogo, anche perche’, in fondo, Gavazzi informale non lo e’ mai, basta aver la voglia di andare a ricercare il nucleo figurativo che c’e’ in ogni opera, più o meno frantumato. La sua impronta caratteristica e’ infatti la maestria di dissolvere in mille linee un soggetto, (una figura umana, uno scorcio di città, un paesaggio, una natura morta), per farcelo poi ritrovare, apparentemente scomposto ma in realta’ coeso, vivo e pulsante. E se si puo’ ripensare alla lezione cubista e a quella futurista, il risultato e’ comunque estremamente personale. Si percepiscono nei suoi quadri preparazione e inventiva e soprattutto, osservando opere succedutesi in una congruo numero di anni, la persistente determinazione a non considerarsi appagato dei risultati via via raggiunti; la fiducia nei propri mezzi e nel contempo l’umilta’ di sapersi rinnovare, caratteristiche queste che denotano un vero artista, il quale non può accontentarsi, ne’ assoggettarsi a facili mercati e che produce opere rigorosamente uniche, perché, come dice Gavazzi, stesso: ” Se il mare e’ sempre il mare, sono io che non lo osservo mai con lo stesso stato d’animo e non potro’ quindi dipingerlo mai nello stesso modo”. Quello che di Gavazzi e’ caratteristico e’ il suo procedere senza dare in fondo troppo ascolto a chi lo loda come a chi non lo loda; e’ il suo “modus vivendi” che, se da un lato puo’ sembrare improntato su una eccessiva modestia, dall’altro lo rende da sempre totalmente libero da compromessi, cosa per lui fondamentale. (A. Fontani, 2010)
UN PENSIERO SUI DIPINTI DI MARIO GAVAZZI
“Uno dei meriti di Mario Gavazzi e’ quello di non aver seguito pedissequamente le orme artistiche del suo primo ed unico maestro, il grande Voltolino Fontani. Credo infatti sia molto difficile per un pittore con quella formazione non indugiare ad esempio sugli accattivanti rosa e sui turchese e – soprattutto – non far uso delle figure surreali tanto esplicite nelle opere piu’ interessanti del maestro livornese. Direi che Gavazzi – lombardo di nascita – porta con se’ una cultura artistica che non ha attecchito nel territorio labronico; una cultura che risente sia del dinamismo, della rotazione futurista, sia delle intersecate forme del cubismo. Una sorta di “scrittura” (automatica?); una trama di vergature che inglobano seducenti piani cromatici.” (E. Torelli Landini, 2010)
“Gavazzi ha lavorato molto e non deve a nessun compromesso la sua maturità artistica. Di carattere riservato, è raramente presente a manifestazioni e premi, mentre è solito offrire al suo pubblico mostre personali periodiche, nelle quali dare il saggio delle nuove tappe del proprio percorso artistico. Gavazzi si definisce “prospettivista”, in quanto dichiara di dovere molto ai grandi prospettivisti del passato, ed anche “neoeaista”, in quanto l’ essenzialità del suo stile non va a totale discapito della figuratività e della comprensibilità dell’opera, in piena armonia con gli asserti del bando programmatico dell’Eaismo, movimento di pittura e poesia sorto a Livorno nel 1948, ideato dal suo maestro Voltolino Fontani. I soggetti più “figurativi” di questo artista sono i più immediati e appaganti, anche se Gavazzi non disdegna spaziare nel campo dell’informale. Attento studioso di forme e prospettive, organizza spazi e campiture attraverso una ragnatela di linee scure e ricorre ad una tavolozza di verdi, ocra, gialli, azzurri che costituiscono attualmente la sua cifra cromatica. Gavazzi ha il dono di una pittura che “fotografa” un ambiente ed istintivamente lo scompone nei vari piani e nei vari rapporti cromatici e tonali: la sua è una pittura gradevole che piace per la sua spontaneità, pur nell’ambito di una solida preparazione e di una ricerca costante”. (T. Faldino, 2008)
“Nel panorama artistico di tutte le epoche ed in particolare, direi, in quello odierno, esibire una propria freschezza espressiva è un’impresa più ardua di quanto si possa pensare, che richiede, non solo molto impegno ed entusiasmo, ma anche una intelligente umiltà per permettere all’artista di praticare un geniale livello di comunicazione, rispettando gli inevitabili silenzi interiori, quali pause capaci di produrre successive urgenze espressive… Giocando sulle forme e la combinazione dei colori, sugli accostamenti e le linee, Mario Gavazzi trasferisce nel quadro il proprio rapporto con l’emozione senza congelarlo sulla tela, ma anzi amplificandolo in un dialogo che si estende dal lavoro all’interlocutore, nel quale l’artista spera di poter suscitare in momenti diversi emozioni sempre nuove.” (S. Fierabracci, 2004)
“Se Voltolino Fontani auspicava nel 1973 il futuro quanto subitaneo accesso di Mario Gavazzi al complicato palcoscenico delle manifestazioni artistiche e Neri ne ricordava, ancora nel 1999, le prerogative di uno stile basato su un colore di pensiero lungi da accattivanti calamitaggi, oggi si può con certezza misurare la lungimiranza di tali osservazioni, in quanto non solo Gavazzi ha saputo imporsi nel corso delle varie esposizioni monografiche e collettive, ma, per quel che riguarda l’evoluzione stilistica, egli sembra attestarsi con estrema determinazione su traguardi cromatici assolutamente personali, frutto senza dubbio di una riflessione autonoma rispetto a qualsivoglia meccanismo commerciale.” (Francesca Cagianelli, 2002)
“Nella sua pittura così spontanea e così personale Mario Gavazzi ha sempre trovato in sé la costruzione oggettiva della realtà, sia essa paesaggio o natura morta, attraverso l’analisi della “cosa” secondo forme fondamentali caleidoscopiche, così che l’oggetto si manifesta, ora e sempre più, in sfaccettature cubiche attraverso cui filtra e si impone la luce. In sostanza il Gavazzi fa compenetrare fra loro talune vedute successive dell’oggetto con il risultato di creare una superficie sfaccettata che, insieme alla sua irrinunciabile prospettiva, realizza un quadro complesso e cristallino peraltro caratterizzato sempre da rara leggerezza. A tutto ciò contribuisce sensibilmente la scelta che Gavazzi fa dei colori, che senz’altro possono dirsi soltanto suoi, in quanto creati per consentire il personale giuoco delle frazioni e delle trasparenze e per far vivere la luce nei suoi variegati toni.” (M. Anselmi, 2002)
“Pur attingendo dagli insegnamenti dei maestri del passato, Gavazzi si esprime con un proprio, ben delineato linguaggiopiuttosto introverso, preferisce la quiete dello studio ed i dialoghi col vero alle affollate sale di esposizione. Ben poco lo interessano i dibattiti e le polemiche; trova le sue gioie maggiori nello studio attento delle forme e dei colori.” (L. Bonetti, 2001)
“Gavazzi è un pittore livornese che non si è lasciato sopraffare dal labronismo post-post-post macchiaiolo. La sua tecnica di scomporre e ricomporre le immagini è strettamente legata ai problemi dell’esistenza, instabile e tuttavia concreta. Il Gavazzi si avvale, per la costruzione del quadro, di valente composizione disegnativa e di un colore liricamente scabro, un colore di pensiero lungi da accattivanti calamitaggi; usa con intellettuale parsimonia e dignità i mezzi espressivi privi di fronzoli e idonei a svolgere le sue meditazioni. L’artista è stato l’allievo piu’ vicino al cuore del grande e caro amico Voltolino Fontani: chi scrive è il superstite degli EAISTI, sottoscrittori del manifesto di fondazione, quel gruppetto di volenterose teste benevolmente calde che provò a opporsi allo stagnante clima di passato dominante, allora, la vita artistica livornese.” (A. Neri, 1999)
“Nessun secolo come questo che sta per concludersi ha visto in arte mutamenti così frequenti e profondi. Le avanguardie che si sono succedute a ritmo serrato nel corso del Novecento hanno infatti frantumato i linguaggi e rivoluzionato le tecniche dell’artista, cambiando di conseguenza i metodi dell’ indagine estetica. Oggi, nell’ intricato labirinto della contemporaneità il pittore sembra un tipo di artista avviato al tramonto, sostituito dal performer, dal video-artista e da quanti hanno ormai smesso di affidare a colori, pennelli e tele le loro esigenze espressive. Mario Gavazzi appartiene invece a questa esigua schiera. Osservando i suoi dipinti, spesso di grande dimensione, si intuisce immediatamente che il flusso delle avanguardie non è trascorso invano, anzi ha offerto all’artista la base culturale di partenza per una sorta di riflessione critica sull’eredità di un recente passato Gavazzi oscilla con naturale disinvoltura tra astratto e figurativo ma è nell’astratto dove raggiunge probabilmente la sua espressione migliore. Le opere astratte di Gavazzi hanno la stessa scansione ritmica, lo stesso rigore formale di quelle figurative. Qui il quadro non è più presentazione di un oggetto bensì oggetto esso stesso, campo di forze attraversato da onde d’urto che corrono lungo il reticolo delle linee nere. Queste talvolta si ispessiscono e acquistano corpo fino a farsi ombra, contrappunto al colore, che intanto diventa sempre più scarno ed essenziale, finalmente slegato dall’adesione al referente reale.” (M. Michelucci, 1997)
“Mario Gavazzi riesce a sprigionare nei suoi quadri una singolare vitalita’, grazie all’arditezza e novita’ dei tagli, che conferiscono all’elemento figurativo una particolare piacevolezza di effetti. Egli arriva a questo risultato applicandosi con molta cura alla preparazione delle tele, su cui l’immagine disegnata riaffiora poi attraverso efficaci giochi di geometrie colorate.” (M. Marzocchi, Il Tirreno, Lucca, 1994)
“L’originalità del linguaggio pittorico di Mario Gavazzi è supportata da un’ottica rappresentativa che risolve in geometrici cromatismi le immagini suggerite dall’osservazione della realta’. Le forme si compongono in una strutturazione grafica che sottolinea la volumetria dei soggetti. Le sue opere rivelano una completa maturazione stilistica e la capacità di evidenziare, con fertile creatività, nell’intarsio del colore, inediti aspetti delle cose, in totale accordo con una percezione emozionale dettata da rara sensibilita’.” (S. Perdicaro, L’Elite, 1994)
“Mario è bravo e soprattutto non è un presuntuoso: ha voglia di fare, di imparare. Ho fiducia in questo giovane, che lavora con impegno ed entusiasmo e che trovera’ una sua collocazione nel mondo, non facile, della pittura.” (Voltolino Fontani, 1973)